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  • Immagine del redattoreVincenzo D' Aniello

Governo Meloni: si salvi chi può!

L'asse con Orbán. Il rapporto con gli spagnoli di Vox. Fontana presidente della Camera e gli “amici" di Alba Dorata. E questo è solo l’inizio.


O meglio, come vedremo più avanti: “Perdete ogni speranza”!


Per la prima volta nell’ancora breve storia della nostra Repubblica, la responsabilità della guida del governo viene affidata a una donna. Non era mai successo prima, a differenza di quanto abbastanza frequentemente già realizzatosi in alcuni paesi dell’Ue; e rappresenta, innegabilmente, un ulteriore passo in avanti verso la completa parità di genere.


Tale novità si realizza, però, nell’anno in cui ricorre anche il centenario della famigerata “marcia su Roma”, cui seguirono lo sciagurato ventennio fascista e, dopo la Seconda guerra mondiale, la rinascita democratica. Un processo, quest’ultimo, lento e mai definitivamente affrancatosi, a mio parere, dai retaggi e dalle scorie – pubbliche e private – del regime dittatoriale.

Non sorprende, quindi, se per molti “addetti ai lavori” il governo Meloni non appare poi troppo foriero di nostalgiche riproposizioni, culturali e politiche, di “un passato ormai lontano”. Ne consegue, a loro parere, anche l’inopportunità di ricorrere a termini quali post-fascista o, addirittura, neo-fascista, per qualificarne la natura e le tendenze.


Di contro, esiste una minoranza di osservatori – il sottoscritto tra questi – secondo i quali in FdI esiste ancora una (troppo) diffusa condizione di idealizzazione dell’antica cultura fascista che ha frenato – almeno fino ad oggi – il pur apprezzabile tentativo di defascistizzazione del partito operato da Domenico Fisichella e Pinuccio Tatarella, attraverso il passaggio dal MSI a Alleanza Nazionale e oggi FdI.

Un’eredità troppo pesante da gestire e per passare inosservata, anche perché a nessuno sfugge che mai fino ad oggi, in nessuna circostanza, né la Meloni né alcuno tra i più autorevoli dirigenti di FdI – penso, ad esempio, al neo Presidente del Senato, Ignazio La Russa – ha ritenuto opportuno prendere ufficialmente le distanze dal ventennio mussoliniano ripudiandone definitivamente ed inequivocabilmente la storia, gli atti e i misfatti.


Non sfuggano, in questo senso, almeno due elementi cui, personalmente, assegno notevole significato politico. Il primo è rappresentato da quelle che considero le cattive compagnie straniere di cui la Meloni spesso si circonda. Alludo alla comunanza di sentimenti e posizioni espressi nei confronti di Vox – partito politico spagnolo di estrema destra, che ha nel franchismo un dichiarato riferimento – e alle sin troppe convergenze politiche che la legano all’ungherese Viktor Orbán e al polacco Mateusz Morawiecki; due soggetti che denunciano una certa idiosincrasia rispetto a termini quali democrazia e diritti, civili e sociali.

Il secondo elemento, di carattere interno, è dettato dall’atteggiamento (della Meloni e, in misura maggiore, dei suoi più noti “colonnelli”) di ostentata non-belligeranza se non, addirittura, supina accondiscendenza e sostanziale ignavia nei confronti di tanti piccoli gruppi e frange di dichiarati estremisti di destra; da quelli che vanno annualmente in pellegrinaggio a Predappio e fino a quelli che assaltano e devastano, oggi, la sede nazionale della Cgil; senza dimenticare coloro che fanno del negazionismo una reiterata prassi.

Ovviamente però, è opportuno precisare che quando alludiamo a un pericolo neo-fascista, non intendiamo rispolverare fantasmi del passato quali, ad esempio, le squadracce di camicie nere, i bastonamenti degli avversari politici, la purga del sovversivo (a base di olio di ricino), le sentenze del Tribunale speciale e il confino per i dissidenti.

In questo senso, hanno ragione coloro i quali sostengono che, nel corso degli ultimi anni, si è spesso fatto ricorso al termine “fascista” anche laddove ne mancavano i presupposti e nonostante le affermazioni filo atlantiche e l’accettazione dell’Ue da parte del gruppo dirigente di FdI. Ciò dovrebbe quindi escludere, a loro parere, la volontà di ripercorrere una strada che ci riporti al fascismo storico di così infausta memoria.

Ciò detto, non sono pochi coloro che si interrogano (chi scrive tra questi) circa un rinnovato interesse delle classi dirigenti del nostro Paese a poter contare su di un governo capace di operare in modo autoritario di fronte a problemi di gestione sociale ed economica già presenti all’orizzonte e per nulla rassicuranti.

Da questo quadro potremmo anche escludere che il partito della Presidente del Consiglio coltivi nostalgia del passato ma sappiamo bene per ammissione dei suoi stessi quadri e dirigenti che conserva intatta la memoria delle sue radici ideologiche e storiche. È sufficiente rilevare il banale particolare rappresentato dalla presenza della fiamma tricolore (ancora) nel suo simbolo.

Se a questo aggiungiamo che Meloni, così come FdI, non hanno mai accantonato i loro antichi valori quali Dio, Patria e Famiglia, diventa difficile restare ottimisti.

Parliamo, quindi, di neo-fascismo per sottintendere il pericolo dell’assenza, in FdI, di un concreto percorso di revisione storico-culturale di quello che fu e rappresentò il fascismo per il nostro Paese, di una mai pervenuta abiura delle sue radici ideologiche e, soprattutto, di un’imperdonabile continuità con politiche omofobe, xenofobe, razziste e tese a invadere la sfera personale dei cittadini.

Tutto ciò nonostante, secondo alcuni, sarebbe stato comunque opportuno attendere la composizione dell’Esecutivo proposto dalla Presidente del Consiglio prima di abbandonarsi a qualsiasi tipo di considerazioni ed emettere giudizi.

Confesso che, personalmente, non confidavo in alcun miracolo. E purtroppo, la cronaca degli ultimi tempi ha confermato i peggiori presagi!

D’altra parte, a mio parere, l’anticipazione di quella che sarebbe stata la logica del nuovo clima ci era stata già fornita dall’elezione del Presidente della Camera.

La terza carica dello Stato era stata, infatti, assegnata – in quota Lega – a un deputato che rappresenta, a pieno titolo, il prototipo di tutto ciò che non dovrebbe essere un rappresentante istituzionale.

In palese offesa alla laicità della nostra Repubblica, è stata così affidata la Presidenza di un ramo del Parlamento a Lorenzo Fontana, un ultraconservatore veneto a tutti noto per il suo estremismo religioso e per la spiccata simpatia nei confronti di “Alba Dorata”, partito neonazista greco. Trattasi di un omofobo secondo il quale le unioni gay rappresentano tout court “il frutto della furia dell’ideologia relativistica” e l’aborto, compreso quello cosiddetto terapeutico, non è altro che: “uno strano caso di diritto umano che prevede l’uccisione di un innocente”!

Così come, sfoderando la sua iconoclastica furia, da parlamentare europeo si oppose strenuamente alla proposta all’Ue (della portoghese Estrela) di vincolare gli Stati membri a delle direttive da seguire per il rispetto dei diritti riproduttivi della donna: tra cui aborto, limitazione dell’obiezione di coscienza e aiuto alla fecondazione assistita. Uguale, ferrea, determinazione oppose alla proposta del collega Lunacek, sui diritti delle coppie gay.

Come se tutto ciò non bastasse a rappresentare la “pericolosità sociale” di tale Presidente,  è il caso di aggiungere che Fontana – al pari di tanti presunti credenti che a tutto credono, meno che ai precetti della loro stessa chiesa – ha spesso spiegato che: “L’immigrazione è un’arma di distruzione dei nostri popoli e della nostra identità”!

Però, il suo curriculum non sarebbe esaustivo se nel rappresentare il personaggio dimenticassi di riportare che lo stesso è un fanatico sostenitore del Primo ministro ungherese Viktor Orbán e, almeno fino a qualche anno fa, citava la Russia di Putin come punto di riferimento ideologico rispetto ai temi a lui più cari.

La triste realtà è che questo soggetto siede sulla poltrona lasciatagli – prim’ancora che accogliesse Roberto Fico – da straordinarie personalità politiche quali: Umberto Terracini, Sandro Pertini, Pietro Ingrao e Nilde Iotti.

Ricorro a un eufemismo nel definire “perplessità” quelle che hanno accompagnato la presa visione della lista dei ministri del governo Meloni.

Eviterò, in questa sede, di annoiare il lettore riportando personali considerazioni sui componenti il nuovo Esecutivo, ma non posso evitare alcune brevi considerazioni di massima.

Una prima annotazione è relativa al peso riconosciuto alla Lega. Ebbene, contrariamente a quanti ritengono Salvini ridimensionato dalla Meloni (perché non gli è stato concesso di tornare agli Interni: sarebbe stato per lo meno imbarazzante ritrovarlo al Ministero che gli aveva procurato di essere inquisito), io credo che grazie a un’astuta tattica e un’adeguata pressione esercitata sulla Premier – che mai avrebbe potuto permettersi un Salvini fuori dal governo – il neo Ministro alle Infrastrutture, nonché vicepremier, abbia ottenuto proprio ciò cui, in realtà, tendeva.

Infatti, affidare alle dirette responsabilità della Lega ministeri quali quello delle Infrastrutture, degli Affari Regionali e dell’Economia, oltre a quello dell’Istruzione, significa offrire agli ex secessionisti padani e veneti rinnovate energie per tentare di realizzare le loro politiche oggettivamente “separatiste”; con tutto quanto, di negativo, ne conseguirebbe per le regioni del Sud. Dalla conferma dell’autonomia regionale al ritorno di attualità del Ponte sullo Stretto, passando attraverso la riproposizione del TAV.

Senza dimenticare che la presenza di Matteo Piantedosi, al Ministero degli Interni, rappresenta una linea di continuità con il recente passato perché lo stesso, in sostanza, svolgeva già il ruolo di Ministro “ombra” quando il titolare risultava essere Matteo Salvini, molto spesso in tutt’altre faccende affaccendato.

Sarebbe interessante, ad esempio, intrattenersi sull’opportunità di nominare Guido Crosetto, lobbista per l’industria delle armi, quale Ministro della Difesa.

Altrettanto interessante la nomina di Carlo Nordio, ex Pm, sostenitore dei recenti referendum bocciati dalla maggioranza degli italiani e determinato a riformare quella parte di “Giustizia” che tante pene ha prodotto a Berlusconi. A partire dalla cancellazione della legge Severino.

Rispetto alla nomina di Anna Maria Bernini quale Ministra dell’Università e Ricerca, mi limito a riportare il pensiero di Domenico De Masi: “Del tutto inadeguata”!

Si potrebbe invece sorridere, ma sarà forse il caso di cominciare già a piangere per l’immarcescibile Daniela Santanchè, neo Ministra del Turismo con un enorme conflitto d’interessi rispetto al demanio marittimo, per i suoi numerosi affari gestiti insieme al socio Flavio Briatore.

Preferisco evitare di dilungarmi troppo rispetto alla Ministra della Famiglia, natalità e pari opportunità: Eugenia Maria Roccella. Basti rilevare che la ex radicale pentita – si, proprio così, ex radicale e figlia di Franco Roccella, uno dei fondatori del Partito Radicale – rappresenta la versione al femminile di Lorenzo Fontana, Presidente della Camera.

Oggi è un’ultraconservatrice e figura di spicco del mondo prolife e teocon, nemica dichiarata di biotestamento, unioni civili, delle sentenze che abbatterono la legge 40, dalla fecondazione eterologa alla diagnosi preimpianto, della pillola abortiva Ru486, delle famiglie arcobaleno, dei diritti Lgbtq, del reato di omofobia, del divorzio breve, del suicidio assistito e dell’eutanasia. Insomma di tutti i diritti civili, alcuni dei quali leggi dello Stato, che hanno caratterizzato la nostra storia negli ultimi trent’anni.

Preferirei ignorarne l’esistenza, ma come evitare di rilevare l’ingombrante presenza, al Ministero della Disabilità, della leghista Alessandra Locatelli, vergognosamente nota per avere vietato – in qualità di assessora alla Famiglia e alla Solidarietà sociale della  Lombardia – l’elemosina ai poveri, multato un prete che portava loro da mangiare e fatto ricorso agli idranti per disperdere i senzatetto del suo comune?

Laddove, però, è stato raggiunto il massimo dell’impudicizia, è avvenuto al Ministero del lavoro, con la nomina di Marina Elvira Calderone che, per chi non la conoscesse già, attualmente ricopre l’incarico di Presidente del Consiglio dell’Ordine dei consulenti del lavoro. Tanto valeva eleggere direttamente il Presidente di Confindustria!

Come se, nel purtroppo improbabile caso di un futuro governo di sinistra – alludo a quella vera, non certo al Pd – eleggessero a Ministro del lavoro il Segretario generale della Cgil.

Giusto per rendere l’idea delle mani cui è stato affidato un così delicato incarico, è il caso di rilevare, come ha fatto il giornalista Massimo Franchi su il manifesto nei giorni scorsi, che:

a) Il Consiglio nazionale dell’Ordine presieduto dalla neo ministra ha più volte presentato interpellanze ai precedenti Ministri del lavoro per “rendere più flessibile la normativa che tutela i lavoratori e la sicurezza in tema di appalti. Reiterate richieste, quindi, per rendere meno rigida la normativa in un paese nel quale si registrano, in media, più di tre morti al giorno per incidenti sul lavoro. Una richiesta criminale! Immagino che l’Ordine non perderà molto tempo prima di rinnovare la richiesta alla neo ministra!

b) Per lo stesso Consiglio, il Durc – il “Documento unico di regolarità contributiva” – in vigore dal novembre 2021 e principale strumento per evitare nel settore dell’edilizia le assunzioni post datate in caso di incidenti, secondo un’altra interpellanza “introduce una procedura complessa, che comporta il rischio del blocco delle attività dei cantieri, oltre a un aumento dei costi e dei tempi di lavoro per le imprese interessate”. Scellerati!

c) Un’altra richiesta del Consiglio presieduto dalla neo ministra riguarda invece “la possibile esclusione dei dipendenti in smart working dalla base di computo dell’organico aziendale per la determinazione del numero dei soggetti disabili da assumere”. In pratica si chiede di usare il telelavoro per sottrarsi all’obbligo di legge di assumere disabili!

L’ultima richiesta, in ordine di tempo, è stata fatta all’Inps chiedendo di poter accedere alle posizioni previdenziali dei lavoratori; con tutti i conseguenti rischi per gli stessi e con la dichiarata intenzione di fare concorrenza – sleale – ai patronati dei sindacati.

In definitiva, nonostante le premesse non appaiano confortanti, si può anche concordare con coloro che invitano alla calma e ad attendere i primi provvedimenti adottati dalla nuova compagine governativa. Eventualmente, auspico tempi di reazione rapidissimi!

Quello che non ci è assolutamente consentito è sprecare ulteriori energie nell’analisi retrospettiva degli errori commessi dalla sinistra nel nostro Paese. È urgente e necessario avviare un processo di rinnovamento che, inevitabilmente, occorre parta da un ritrovato rapporto con la nostra base sociale. Il tempo a nostra disposizione scorre velocemente e, contemporaneamente, in Europa, dalle ex Repubbliche sovietiche alla Germania e alla Svezia si materializza una preoccupante involuzione conservatrice e reazionaria.

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