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  • Immagine del redattoreVincenzo D' Aniello

Perché si parla di nuovo di Mes, cos’è il Fondo salva Stati e a cosa serve.

Da anni rispunta con una certa cadenza ad animare il dibattito politico italiano e le interlocuzioni tra Roma e Bruxelles. Chi una volta era contro, adesso è a favore. E chi pochi anni fa ne ha firmato il via libera, ora sembra aver cambiato idea. Una vicenda tragicomica, verrebbe dare dire, quella del travagliato iter di approvazione da parte dell'Italia della riforma del Mes, il meccanismo europeo di stabilità o fondo salva Stati che dir si voglia. Certo, il Mes si porta dietro i fantasmi della Grecia e della Troika. Ma la riforma di questo strumento intergovernativo è stata elaborata, tra mille compromessi, proprio per scacciare quel triste ricordo. Tanto che oggi, per Giorgia Meloni, a lungo capofila del fronte anti-Mes, oggi il problema non è tanto la sua ratifica finale, ma quello che vi gira intorno: i problemi interni alla maggioranza, da un lato. Il Patto di stabilità e le norme Ue sulle crisi bancarie, dall'altro. Una matassa complessa, che richiede qualche preambolo.  


Le tensioni nella maggioranza

Innanzitutto, ci sono le tensioni interne alla maggioranza. Per Matteo Salvini, "l'Italia non ha bisogno del Mes". E con il leader della Lega, altri esponenti del centrodestra hanno più di un dubbio sull'opportunità di approvare il testo. Forse per questo, i partiti di governo hanno disertato ieri la commissione Esteri della Camera, dove la ratifica del fondo salva Stati è passata, ma con i voti dell'opposizione (e l'astensione del M5s). Si trattava solo di un parere, ma il caso potrebbe essere un'anticipazione di quello che accadrà a partire dal 30 giugno, quando il nuovo Mes approderà in Aula.

L'impressione è che governo e maggioranza vogliano fare melina, complici anche le posizioni anti-Mes di FdI e Lega quando erano all'opposizione. Non sarebbe una novità: da anni l'Italia ritarda l'iter di approvazione della riforma. Era successo con il primo governo Conte (composto da M5s e Carroccio), che aveva alzato un muro. Venne poi il Conte II, stavolta in alleanza con il Pd, che nel 2019 raggiunse un accordo di massima a Bruxelles sulla riforma. Pochi mesi dopo, il Covid-19: quando l'Italia chiese a Bruxelles un aiuto per affrontare la pandemia, il primo suggerimento dei cosiddetti Paesi "frugali" fu quello di attivare il Mes, anche se ancora non riformato. Il governo si oppose e ottenne il Recovery fund. E nel gennaio 2021, forse in cambio dei soldi del Pnrr, lo stesso esecutivo diede il suo assenso alla riforma, pur apportando qualche modifica rispetto al testo precedente.  

Con Mario Draghi alla guida di Palazzo Chigi, la strada per la ratifica sembrava ormai in discesa, nonostante all'appello non mancasse solo Roma, ma anche la Germania. Di fatto, però, la patata bollente è giunta a Meloni. La quale, rispetto al passato, non chiude la porta al nuovo Mes per principio. Semmai, come ha spiegato il ministro degli Affari europei, Raffaele Fitto, tale questione "si risolve inserendola in uno scenario ampio con il completamento dell'unione bancaria e il ritorno del Patto di stabilità". Fitto, da un punto di vista tecnico, non ha tutti i torti.


Cos'è il Mes e cosa prevede la riforma

Il Mes, ricordiamo, è un meccanismo che ha lo scopo di fornire assistenza finanziaria sotto forma di prestiti ai Paesi dell'Eurozona che affrontano o rischiano gravi difficoltà finanziarie. A tal fine, l'attuale fondo di salvataggio ha una capacità di 500 miliardi di euro. Uno dei problemi di questo fondo, secondo l'Italia e non solo, è che chi accede ai prestiti deve rispettare una serie di condizionalità, ossia impegnarsi in riforme lacrime e sangue. Con la riforma, queste condizionalità sono state ammorbidite, ma non al punto da renderle meno intrusive nelle scelte di finanza pubblica di un Paese come accade, per esempio, con le attuali raccomandazioni della Commissione europea. 

Il compromesso raggiunto dall'Italia è stato di legare la riforma del Mes all'avanzamento dell'unione bancaria di cui parla Fitto. Di cosa si tratta? L'unione bancaria non è altro che il grande progetto europeo che dovrebbe evitare che la crisi di un istituto finanziario in Paese europeo si propaghi al resto dell'Europa. Uno dei punti chiave dell'unione bancaria è il meccanismo di risoluzione unico: si tratta di una sorta di ‘cassa comune’ per aiutare gli istituti bancari in crisi nell’Eurozona. È finanziato dai contributi del settore bancario, non dal denaro dei contribuenti. Se una banca entra in crisi, mettendo a rischio la stabilità di un Paese Ue, per esempio, scatta il meccanismo di risoluzione, che ha una cassa di 55 miliardi. Ma se questa cassa non basta, scatta il Mes, il cosiddetto backstop o paracadute. 

In realtà, tra il meccanismo di risoluzione e il Mes il passaggio potrebbe essere meno diretto se ci fosse un altro cuscinetto ad ammorbidire la crisi bancaria: si chiama Edis, ed è lo schema di assicurazione europea dei depositi bancari, l'ultimo tassello per completare l'unione bancaria: in sostanza, i Paesi dell'Eurozona, con questo schema, metterebbero in comune i rischi del settore. Sull'Edis, però, manca ancora consenso politico, pare per l'opposizione della Germania, che lamenta l'alto livello di Npl, ossia crediti spazzatura, che le banche italiane hanno nella loro pancia. L'Italia in questi anni ha notevolmente ridotto gli Npl, ma l'intesa europea resta ancora distante.


Il Patto di stabilità

C'è poi la questione del Patto di stabilità: la Commissione europea ha avanzato una proposta di modifica delle regole finanziarie che di fatto concede più tempo agli Stati membri per ridurre il debito ed evitare così tagli alla spesa pubblica controproducenti per la crescita. Ma la proposta non piace alla Germania, e pare che la riforma del Patto possa slittare al prossimo anno. 

Infine, anche se non citato da Fitto, c'è il capitolo spread: per rispondere alle spinte inflazionistiche, la Banca centrale europea ha intrapreso un percorso di rialzo dei tassi di interesse che sta mettendo sotto pressione il debito pubblico italiano. Per evitare che l'aumento dei tassi comprometta la nostra economia la Bce ha lanciato il Transmission protection instrument (Tpi), da alcuni ribattezzato come "scudo anti-spread". Perché il Tpi si attivi e protegga uno Stato dell'Eurozona serve però che rispetti una serie di parametri, tra cui il Patto di stabilità. Senza Tpi, il Paese in crisi potrebbe trovarsi costretto a fare affidamento al Mes.

Ecco perché intorno alla riforma del fondo salva Stati c'è un reticolo complicato di dossier irrisolti. Meloni vorrebbe adesso usare il Mes come chiave di volta per ottenere passi avanti su Patto di stabilità, banche e Bce. Un modo di trattare in Europa che hanno usato già in passato i suoi predecessori. Solo che a Berlino erano convinti che con l'ok al Recovery fund, almeno sulla riforma del Mes, la stagione dei ricatti era finita.  


L'incubo di una nuova crisi bancaria piomba sull'Ue: "Italia ratifichi Mes".

Il tonfo di diversi istituti europei preoccupa Bruxelles. Salta la conferenza finale del vertice, mentre l'Eurogruppo chiede al governo di Giorgia Meloni di sbloccare la riforma del meccanismo di stabilità.


L'ordine è di professare tranquillità. Ma a Bruxelles l'incubo di una nuova crisi bancaria comincia a farsi strada: anche oggi, importanti istituti europei, come la Deutsche bank, hanno perso terreno in borsa, mentre i leader dei 27 Stati membri e i vertici di Bce e Eurogruppo si sono incontrati in occasione del summit Ue per fare il punto della situazione. La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha deciso di annullare la consueta conferenza stampa di fine summit, in cui si sarebbe affrontato proprio il nodo banche. Una decisione che potrebbe essere il segno del nervosismo crescente intorno al futuro prossimo dell'economia del continente. Tanto più che diversi analisti avvertono sulle lacune ancora presenti nell'assetto europeo anticrisi, compreso il nuovo Mes, la versione aggiornata del meccanismo di stabilità che è ancora in stand by per la mancata ratifica da parte dell'Italia.

Pressioni sul Mes

Non è un caso che, al suo arrivo al summit, il presidente dell'Eurogruppo Pascal Donohoe abbia lanciato un chiaro messaggio alla premier Giorgia Meloni, da sempre un'avversaria senza se e senza me del Mes, accusato di essere la lunga mano dell'austerity: "È molto importante che andiamo avanti con la piena ratifica della riforma del Meccanismo europeo di stabilità", ha detto Donohoe. "Abbiamo bisogno di garantire che il Fondo di risoluzione unico abbia il sostegno necessario nel futuro, in particolare per il periodo dal 2024 in avanti, in modo da assicurare che se ci saranno difficoltà bancarie non chiediamo ai contribuenti nazionali di pagare", ha spiegato il presidente dell'Eurogruppo. "Nell'Ue abbiamo un quadro forte di risoluzione che affronta le difficoltà emergenti facendo tutto il possibile per proteggere i contribuenti. Per questo, uno dei prossimi passi che dobbiamo prendere è assicurare che il legame tra il Mes e il Fondo di risoluzione unico sia in funzione dal primo gennaio 2024", ha aggiunto.

Il fondo di risoluzione

Il Fondo di risoluzione unico è lo strumento creato dall'Ue dopo l'ultima grande crisi bancaria che rischiò di mandare in default un pezzo d'Europa, Italia compresa. Il succo di questo strumento è evitare che il peso di eventuali salvataggi bancari pesi sulle spalle dei bilanci pubblici degli Stati, e quindi dei contribuenti. A finanziare il fondo è esclusivamente il settore bancario europeo. Questo strumento, però, è strettamente connesso con il Mes: senza la ratifica della riforma, il Fondo di risoluzione unico non avrebbe "le spalle coperte", ossia non avrebbe un "paracadute" capace di rassicurare i mercati nel caso in cui il Fondo stesso (che a oggi ammonta intorno ai 66 miliardi) dovesse bastare a placare eventuali crisi. 

Depositi e Svb

Lo stallo sulla riforma del Mes, che sarebbe dovuta diventare operativa già a fine 2022, viene visto poi come una delle cause dei mancati progressi su altri strumenti anticrisi dell'Ue. La cosiddetta Unione bancaria, ossia l'insieme delle misure elaborate dall'Europa per non ritrovarsi di nuovo a leccarsi le ferite lasciate dalla crisi del debito sovrano del 2012, prevede anche la creazione dell'Edis, un fondo europeo che garantisca i depositi bancari dei risparmiatori. Anche questo doveva essere operativo già l'anno scorso, ma a giugno i ministri delle Finanze del blocco hanno di fatto sospeso i negoziati.

In tutto questo, anche sbloccando la riforma del Mes, gli analisti temono che il binomio fondo di risoluzione-meccanismo di stabilità possa risultare insufficiente. Una delle debolezze sarebbe legata al fatto che questo scudo protettivo non è stato ancora allargato alle banche di piccola e media dimensione. Lo ha sottolineato anche il presidente dell'Eurogruppo. In sostanza, un caso come quello di Svb, la banca regionale statunitense il cui crollo ha fatto scattare le turbolenze in corso (insieme a Credit Suisse), richiederebbe in Europa di nuovo l'esborso di soldi pubblici. 


Il governo chiamato a ratificare il nuovo Mes che la stessa Meloni indicava come "trappola".

Torna di attualità il dibattito sul Meccanismo europeo di stabilità, meglio conosciuto come Mes: cosa cambia con la riforma per l'Italia e come hanno cambiato idea i partiti politici negli anni.



La lunga querelle del Mes potrebbe giungere finalmente a conclusione. Il Parlamento italiano si appresta a discutere la riforma del controverso Meccanismo europeo di stabilità, considerato da buona parte delle forze politiche tricolore (e non solo) una sorta di braccio armato dell'austerityeuropea pronto a piombare sulle nostre disastrate casse per incatenare l'Italia a riforme "esigenti", come successo in Grecia. I fautori della riforma giurano che la lezione della crisi ellenica è stata presa in considerazione, e che le nuove norme del Mes, che di fatto è un trattato intergovernativo e non una vera e propria istituzione Ue, eviteranno scenari apocalittici e aiuteranno a stabilizzare gli Stati in crisi. Queste rassicurazioni, però, non hanno ancora convinto del tutto l'Italia, già sottoscritto da 17 membri dell'Eurozona su 19. La Germania è l'altro stato che non ha ancora ratificato il testo,

Una storia travagliata

Ma perché l'Italia teme il nuovo Mes? Per capirlo, bisogna fare un passo indietro. Il Mes come lo abbiamo conosciuto finora è entrato effettivamente in vigore nel 2012, raccogliendo l'eredità di altre iniziative di fondi "salva-Stati" abbozzate dai Paesi europei. L'approvazione in Italia fu sancita dall'allora governo Berlusconi, per poi venire ratificata dal Parlamento con l'arrivo di Mario Monti a Palazzo Chigi. Da un punto di vista degli obiettivi, il meccanismo ha lo scopo di fornire assistenza finanziaria ai Paesi dell'Eurozona che affrontano o rischiano gravi difficoltà finanziarie. A tal fine, l'attuale fondo di salvataggio ha una capacità di prestito di 500 miliardi di euro.


Fin qui nulla da eccepire, se non fosse per le cosiddette "condizionalità" che accompagnano i prestiti. Il caso greco è noto: con l'attivazione del Mes, ma anche prima a dirla tutta, Atene si impegnò a rispettare un Memorandum d'intesa che portò a una severa ristrutturazione del debito, con conseguenze sociali ed economiche drammatiche. A vigilare sul governo ellenico fu posta la famigerata Troika (Commissione Ue, Bce e Fmi), anche se questa triade non è formalmente parte del Mes. Anche altri Paesi usarono il fondo (Spagna, Portogallo, Irlanda e Cipro), ma con effetti decisamente meno destabilizzanti.

L'esperienza greca, di fatto, mise gli Stati dell'Eurozona a maggior rischio prestiti di fronte a un bivio: uscire dal Mes, o riformarlo. Si scelse la seconda strada: dopo lunghe trattative e l'opposizione senza se e senza ma del governo Conte I, composto da M5s e Lega (entrambi strenui oppositori del meccanismo), nel dicembre 2019, con il Conte II e l'alleanza Pd-5 stelle, i ministri delle Finanze raggiunsero un'intesa di massima sulle nuove regole. Arrivò poi il Covid-19, e quando l'Italia chiese a Bruxelles un aiuto per affrontare la pandemia, il primo suggerimento dei cosiddetti Paesi "frugali" fu quello di attivare il Mes, anche se ancora non riformato. O forse proprio per spingere Roma a ratificare l'intesa sulla riforma. La storia è nota: il governo si oppose e ottenne il Recovery fund. Ma nel gennaio 2021, lo stesso esecutivo diede il suo assenso alla riforma, pur apportando qualche modifica rispetto al testo del 2019.

Cosa prevede la riforma

Il nuovo trattato prevede l'ulteriore sviluppo degli strumenti del Mes e il rafforzamento del suo ruolo assieme alla creazione di un sostegno comune per il Fondo di risoluzione unico sulle crisi bancarie. Si tratta di una sorta di ‘cassa comune’ istituita dall’Ue per la risoluzione delle crisi degli istituti bancari in dissesto nell’Eurozona. È finanziato dai contributi del settore bancario, non dal denaro dei contribuenti. Ma nel caso in cui il Fondo di risoluzione unico fosse esaurito, il Mes potrebbe fungere da sostegno - il cosiddetto backstop - e prestare i fondi necessari per finanziare la risoluzione delle banche europee. Stavolta, con i soldi dei contribuenti. Ma per molti, questo strumento rappresenta un punto a favore del settore bancario italiano, tra i più gravati dai cosiddetti Npl, ossia i crediti non più esigibili. 


Parte della politica italiana non è convinta dal meccanismo di richiesta dei prestiti. Negli anni, determinati partiti politici hanno avanzato timori sugli eccessivi vincoli legati a un'eventuale attivazione del Mes, per riforme, tagli e restituzioni dei fondi.

Le partite parallele dell'Italia

Proprio per questi aspetti, l'Italia sta giocando due partite parallele importanti. Una riguarda la riforma del Patto di stabilità: la Commissione europea ha da poco avanzato una proposta di modifica delle regole finanziarie che di fatto concede più tempo agli Stati membri per ridurre il debito ed evitare così tagli alla spesa pubblica controproducenti per la crescita. La proposta, a cui ha lavorato da vicino l'ex premier italiano e oggi commissario all'Economia Paolo Gentiloni, accoglie molte delle richieste avanzate negli anni da Roma. 

C'è poi il capitolo spread: per rispondere alle spinte inflazionistiche, la Banca centrale europea ha intrapreso un percorso di rialzo dei tassi di interesse che potrebbe continuare nei prossimi mesi. Questo potrebbe avere effetti sulla stabilità del debito pubblico italiano: non a caso, lo spread tra i nostri titoli di Stato e quelli tedeschi è già aumentato. Per evitare che l'aumento dei tassi comprometta la nostra economia la Bce ha lamciato il Transmission protection instrument (Tpi), da alcuni ribattezzato come "scudo anti-spread". Perché il Tpi si attivi e protegga uno Stato dell'Eurozona serve però che rispetti una serie di parametri, tra cui il Patto di stabilità. Senza Tpi, il Paese in crisi potrebbe trovarsi costretto a fare affidamento al Mes. Ecco perché si deciderà tutto nel traingolo da Bruxelles a Francoforte, fino a Lussemburgo sede del Mes. Ed ecco perché l'Italia potrebbe rallentare ancora la ratifica del nuovo fondo salva-Stati in attesa di rassicurazioni sulla riforma del Patto e del Tpi.

La demonizzazione italiana del Mes

Il Mes è tra i temi che da anni divide di più i partiti in Parlamento. Alcune forze politiche hanno puntato su una decisa opposizione nei confronti del meccanismo, facendone una battaglia politica. Il governo Conte I composto da Movimento 5 Stelle e Lega, era schierato apertamente contro il Mes. 

Soprattutto all'interno del centrodestra, Forza Italia e Fratelli d'Italia hanno sempre criticato con forza il meccanismo e la sua riforma. Dalla parte opposta invece i partiti più europeisti come Pd, Azione e Italia Viva hanno sostenuto il Mes, sperando di usarne i fondi durante l'emergenza Covid. 

Il governo Conte II - formato dall'alleanza Pd-5 stelle - partecipò ai dibattiti sulla modifica del meccanismo, arrivando all'intesa di massima del dicembre 2019 sulle nuove regole. Nel tempo, la posizione del Movimento 5 Stelle sul Mes si è ammorbidita, causando alcune divisioni al suo interno. Successivamente, il governo Draghi non è riuscito a portare in aula la ratifica. 


L'attuale presidente del Consiglio Giorgia Meloni, all'epoca all'opposizione, dichiarava che il suo partito si sarebbe opposto in maniera "totale" al Mes, per evitare "altri cappi intorno al collo" da parte di Bruxelles, respingendo "con tutte le forze questo ennesimo tentativo di riforma di un Trattato che non fa gli interessi dell’Italia". Giancarlo Giorgetti, ora ministro dell'Economia e delle finanze, nel 2019 da vicesegretario della Lega diceva di essere contrario al Mes perché "la sorveglianza rafforzata della Commissione Europea non è accettabile".

Ora, proprio il governo Meloni dovrà andare in Parlamento per ratificare la modifica del Mes da parte italiana. Al contempo, in Germania è la Corte Costituzionale a bloccare tutto e, come visto, questi sono gli unici due Stati europei a non aver ratificato la modifica del meccanismo. A riguardo, proprio Giorgetti ha detto che è allineato "alle posizioni del precedente governo di cui facevo parte: aspettiamo la decisione della Corte costituzionale tedesca e poi decideremo". Sul tema, il terzo polo - e soprattutto Matteo Renzi - vorrebbe proporre al governo di usare i fondi del Mes per intervenire sulla sanità.

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